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Oriella Tivelli

A TU PER TU - di Camillo Ravasi

(25/09/2017)

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Una che dipinge il mare e ancor più le profondità marine; almeno così possono apparire quelle fluttuanti strisce raschiate dal fondo nero; o qualche relitto sulla spiaggia: mare che non è più mare, neppure quando dipinge un’onda, ma – tutti-inquieti presagi o anche minacce; come se qualcosa stesse di fronte a lei e ci turbasse; qualcosa che investe o lambisce. Così guardando queste immagini c’è un trasalimento, come se in queste evanescenti attrattive dell’oscuro ritrovassimo una consonanza, la piccola, decisiva scoperta che qualcosa sta per avvenire, anzi che è appena avvenuto.

 

Perché le immagini si offrono come qualcosa che mi ri-guarda e noi lo sentiamo come qualcosa di quel “tra me e me” che a volte ci capita di sperimentare senza sorprenderci dell’abisso che introduce. Questa sorta di sdoppiamento che pure riflette qualche verità di noi.

Allora non importa che vi sia una probabile componente psichica all’origine di questi lavori perché – proprio attraverso l’uso del raschiamento- essi vengono a dirci di  noi come di una apparenza, di una consistenza inconsistente, che sola può esistere emergendo da uno sfondo. In realtà questi dipinti sono frutto di un contraccolpo piuttosto che dell’inconscio o di uno sguardo interiore; di una sorpresa della ragione costretta a prendere atto, pur nel gioco di sfida  ambiguo dell’apparenza, di ciò che ti viene incontro. 

Se molte delle immagini di Oriella ci attirano e pure ci arrestano è per questo. Perché, qui e là, qualcosa diventa chiaro, perfino consistente:  il barlume di luce che ha invitato la nostra mente si schiarisce, prende colore; quello che era solo un presentimento rovesciatoci addosso dalle onde, ma ancora  avvolto in una corteccia naturale, negli altri dipinti si dispiega puro, almeno a frammenti come se, per un attimo, volesse mostrarci il suo volto e la nostra verità.

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